4 luglio: da Magliano Sabina a Roma, via Valle dei Casali

Ci apprestiamo a lasciare la Casetta Gialla e la giornata è insolitamente serena.

Ciao ciao Magliano Sabina!
Ciao ciao Magliano Sabina!

Occorre fare un appunto a posteriori su questa estate 2014. È stata a dir poco piovosa e “pazzerella”, ha gettato serie ipoteche sulle fioriture, sui raccolti di uva, olive, e pure della canapa, che chiede così poco! Ci sentiamo quasi in colpa, perché dal nostro punto di vista invece non possiamo davvero lamentarci. Partiti da Bussoleno il 7 di giugno, avevamo portato le divise Armani invernali (chi capisce l’inside joke vince un gelato della Gelateria popolare 😉 ). In fondo venivamo da giorni di ondate di freddo, tra fine maggio-inizio giugno. Ebbene, abbiamo dovuto togliere rapidamente quei capi di troppo, e per tre mesi ce li siamo scarrozzati invano! Abbiamo certamente patito poco il caldo, ma la cifra prevalente è stata il cielo nuvoloso. Seccante per chi è in vacanza, una benedizione per chi pedala: gradevolmente fresco senza ancora minacciare pioggia.

Sprazzi di bellezza imperiale si nascondono dietro ogni colle: mentre percorriamo la SS Flaminia, in mezzo a distese di uliveti vediamo spuntare all’improvviso le rovine del Castello di Borghetto o maniero di Andosilla. Siamo quasi a Civita Castellana, abbiamo da poco attraversato il fiume Tevere e si susseguono dolci colline, sulle quali si impone il maestoso e isolato Monte Soratte: suggestivo e quasi inquietante, sembra accompagnarci lungo la strada, con le sue cime modellate fino a disegnarne il profilo di un volto, che la tradizione attribuisce a Mussolini. Oggi, mentre rifacciamo il viaggio per mezzo della scrittura, scopriamo infatti che proprio il Duce, a partire dal 1937, aveva consentito la costruzione di gallerie sotterranee che sarebbero state utili durante la guerra come rifugio per le alte cariche militari.

Ecco, all'orizzonte il Soratte che domina la valle del Tevere
Ecco, all’orizzonte il Soratte che domina la valle del Tevere

A Sant’Oreste, immersi nella valle del Tevere, lasciamo la Flaminia e con essa i piacevoli tratti ombrosi ed entriamo sulla Tiberina (che nelle mappe si trova anche come SP 15a), sfiorando Fiano Romano e altri paesini della campagna romana che tanto piacque a Goethe, ma si comincia già a percepire il fermento cittadino.

A questo punto è diventata una questione personale: la Città Eterna deve apparire dietro le colline, costi quel che costi! Sarà suggestione, eppure la strada è ormai costantemente in discesa! Il traffico si fa acceso, eppure non è ancora opprimente: la compresenza con i mezzi pesanti e veloci attiva anzi l’adrenalina. Ti senti parte della corsa di bighe che scavalla in attesa di arrivare al cospetto della Grande Bellezza.

Potete immaginare, in queste condizioni, quanto sia stato difficile rubare qualche foto al paesaggio: illesi ma un po’ tesi, dopo un tratto di Via Salaria, a Monterotondo siamo ben contenti di prendere il treno, ma onestamente dispiaciuti di non riuscire ad entrare in città in bici 🙁
Il tratto in treno è breve: “Roma, stazione Tuscolana“, grida il megafono. Finalmente poggiamo le ruote sul suolo della Capitale, senza nascondere un certo prijeio, si direbbe in una qualsiasi casa lucana, vale a dire una soddisfazione: in fondo, siamo a metà del nostro viaggio! 🙂
Pedalando su via Tuscolana si scoprono tesori nascosti, dal Parco degli Acquedotti a quello di Tor Fiscale, passiamo sotto l’arco che regge l’Acquedotto Felice di epoca rinascimentale e sfioriamo il Parco dell’Appia Antica, il più importante residuo dell’Agro Romano da un punto di vista storico, archeologico e paesaggistico-culturale. Da tutto ciò Goethe era rimasto folgorato durante la tappa romana del suo Grand Tour e ne scrisse così in Viaggio in Italia (1787):

“[…] guardo le ruine e i palazzi, visito una villa e l’altra e le cose più meravigliose mi cominciano a diventar familiari; apro solamente gli occhi, guardo, vado e ritorno, poiché solo in Roma è possibile prepararsi a godere Roma. […] Gli avanzi dei grandi acquedotti lasciano un’impressione enorme. Che scopo nobile e bello quello di donare a tutto un popolo l’acqua, ed in una forma prodigiosa!

E pensare che oggi siamo arrivati a dover difendere l’acqua dalle privatizzazioni… E tanto per chiudere il cerchio, proprio a casa del nostro amico Massimo, che ci ospita, ci troviamo di fronte ad una copia del dipinto di Tischbein che ritrae Goethe e sullo sfondo la Tor Fiscale dell’ ‘800!

Giulia Tripoti, Marco Migliarino e Daniele nella Valle dei Casali
Giulia Tripoti, Marco Migliarino e Daniele nella Valle dei Casali

Si parla spesso di Agro Romano come fosse un residuo dell’Italia rurale fascista, in realtà ancora oggi Roma risulta il primo comune agricolo d’Italia. Nel cuore della città respira una Riserva Naturale di circa 466 ha, un corridoio verde che digrada verso il Tevere e che accoglie diversi casali storici tardo seicenteschi: è la Valle dei Casali, appunto, che ancora oggi, come in passato è la testimonianza della spiccata vocazione agricola dell’area, che serviva l’intera città. Ricca di ulivi, querce, aceri, pini mediterranei, salici, ginestre e diverse specie di animali, l’area, nonostante fosse stata riconosciuta come riserva naturale dal 1997, è stata quasi interamente privatizzata insieme alle sue ville, tra le quali la settecentesca Villa York, storico esempio di vigna romana, cioè l’unione tra la villa nobiliare e l’azienda agricola. Vite, olivo e ortaggi erano tra le produzioni tipiche, conservate in lunghi cunicoli, accessibili dai casali, e vendute poi ai mercati.

Quando abbiamo fatto tappa nella Valle dei Casali, la sera del 4 luglio, siamo stati accolti da un lenzuolo all’entrata: Terra Bene Comune! La riserva riservata -così è stata definita dai comitati di difesa dell’area– per quella sera si è animata: cibo, musica e canti in compagnia di Giulia Anania e Giulia Tripoti, a cui ha partecipato anche la metà canterina di #2RR, uniti in un ideale gemellaggio con la Cavallerizza Occupata di Torino, dove in contemporanea sta suonando, ancorché orfana del suo fisarmonicista, la Bandragola Orkestar!
Prima che fosse istituita l’area protetta, vi furono costruiti alloggi privati, un asilo nido e una scuola d’infanzia mai utilizzati. Da chi? Dalla Federconsorzi, i cui beni, dopo il suo fallimento nel 1991, furono venduti -si direbbe quasi regalati- ad una serie di banche, che a loro volta hanno messo in vendita buona parte dei beni presenti nell’area. Un risultato di questa politica privatistica è, tra i tanti, che Villa York, come l’abbiamo vista noi, è stata recintata e resa inaccessibile ai cittadini.
Che cosa chiedono Terra Rivolta, la rete di contadini di TerraTerra e Genuino Clandestino? La difesa del territorio dalle speculazioni private, quindi l’acquisizione dell’area come uso civico -quindi invendibile e indivisibile- e sulla quale incrementare la già esistente vocazione agricola. E la loro battaglia continua

Ancora una volta, insomma, sono i cittadini che si auto-organizzano: non solo per dare una risposta collettiva alla crisi imperante, ma anche per dare alla propria vita una prospettiva di vita differente, non più calata nelle dinamiche del capitalismo che risucchia l’essere. L’accesso comunitario alla terra diventa una scelta di vita. Dietro al lavoro ci sono precisi ideali, nemmeno tanto utopici: sono i contadini -e non solo- 2.0. Dalla Resistenza dei partigiani sui monti alla resistenza quotidiana sul territorio che si abita.

È così che Roma diventa anche per noi una città reale.
Ma la Città Eterna non scompare dietro le sue colline: la ritroviamo mentre percorriamo con una certa emozione la Via Appia Antica, diretti alla tappa successiva, Velletri. Rovine di colonne, spuntoni di pietre (per i ciclisti: fate molta attenzione!), resti di acquedotti che si ergono ancora maestosi nella campagna circostante. Il basamento in lastroni di pietra non è il massimo per un ciclista, ma vale la pena fare un salto nel passato e calpestare il suolo che fu dei Romani, con la speranza che un giorno non diventi anch’esso di proprietà delle auto 😉

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