Il viaggio 2 Ruote di Resistenza si è concluso e da diversi giorni dormiamo ormai sotto il cielo torinese.
30 agosto 2014, stazione di Torino Porta Nuova, piedi a terra e ruote in movimento. Ci guardiamo intorno storditi, faticando a riconoscere luoghi a noi noti. D’istinto ci voltiamo e scorriamo il tabellone elettronico in cerca del prossimo treno in partenza per una destinazione che ci ispiri, i bagagli sarebbero già pronti! Proprio non siamo ancora pronti per varcare la soglia di casa.
Ma il progetto #2RR non è ancora finito: ci guardiamo, togliamo gli abiti del viandante, inforchiamo le bici e la città ci dà il buongiorno. Pronti ad accoglierci caldo, rumori di ogni sorta, una città mezza deserta.
Con questi presupposti il 7 settembre ci rimettiamo in sella. Che non si dica che siamo pigri! L’occasione ce la dà la I° Mostra dei Braccianti Agricoli, che si è tenuta a Saluzzo, organizzata dal Coordinamento Bracciantile Saluzzese.
Durante il viaggio abbiamo incontrato tante persone che, pur non essendo agricoltori di professione, sono ritornati alla terra mettendosi in suo ascolto e provando a capire cosa la terra chiede: dalla manodopera specializzata o quanto meno pagata il giusto, a mezzi meccanici più adatti, magari in affitto o in comproprietà; dalla bonifica dall’inquinamento a una coltivazione più naturale; dalla discussione critica della filiera ad una legge che garantisca i piccoli produttori sul mercato. Perciò, decidiamo di metterci in viaggio per Saluzzo.
Percorriamo la strada in bici dalla stazione di Cavallermaggiore fino a Saluzzo passando esclusivamente per campi coltivati a frutta e mais. Questa è agricoltura 1.0, la Langa di lusso che, lasciata la miseria dei secoli alle spalle, ora esporta eccellenza.
In una domenica pomeriggio di sole ancora estivo, il Foro Boario di Saluzzo ospita da un lato la 67° Mostra della Meccanica Agricola e dall’altro, diviso solo da una ringhiera di ferro, il campo solidale che ospita circa 400 migranti venuti in Italia come lavoratori stagionali per la raccolta della frutta.
Da una parte l’esposizione del fior fiore delle ultime tecnologie agricole, costosi bestioni meccanizzati che promettono prestazioni stellari (ed ecocompatibili!); dall’altra un campo di prima accoglienza, con 200 tende che ospitano il doppio delle persone, che ogni stagione arrivano nel Saluzzese come manodopera bracciantile. Da una parte un enorme piazzale pieno di automobili; dall’altra una fiumana di biciclette, unico mezzo di cui dispongono i braccianti. Il paradosso del sistema economico italiano è ben servito! C’è chi è spinto ad entrare nel campo solidale con la medesima curiosità con cui ha appena sezionato un mezzo agricolo all’interno della Mostra. Da qui la beffarda idea del Coordinamento: organizzare una “mostra mercato” anche dei braccianti!
O degli schiavi? Difficile non pensare a scene di film come 12 anni schiavo o Django Unchained. Gli aspiranti braccianti, prevalentemente provenienti dai Paesi dell’Africa sub-sahariana -Mali, Senegal, Gabon, Burkina Faso e così via- sono i primi a scherzarci su. Sia chiaro, qui non si troveranno imprenditori agricoli intenti ad ispezionare “la qualità della merce” esposta a colpi di frusta! E, fortunatamente, non si ha notizia di arruolamenti notturni in luoghi convenuti ad opera di caporali senza scrupoli, come si è riscontrato nella piana di Gioia Tauro, o a Castelvolturno. O, last minute, a Canelli, nel cuore delle Langhe patrimonio dell’Unesco!
Solo fino all’anno scorso il campo solidale al Foro Boario era una baraccopoli abusiva senza alcun servizio igienico, chiamata Guantanamò. Nel 2010 un piccolo accampamento di fortuna era stato ricavato in alcuni vagoni all’interno della stazione ferroviaria, nel 2011 era stato occupato l’ex magazzino delle ferrovie, poi sgomberato e raso al suolo. Il numero degli immigrati cresceva e l’anno scorso per la prima volta hanno invaso il foro boario in 600. Le istituzioni hanno cominciato ad accorgersi di loro, ma solo quest’anno la Caritas decide di prendersi la gestione dello spazio, fornendo i servizi di prima necessità, pasti, tende al posto di cartoni.
I ragazzi vivono questa condizione temporanea con grande dignità e ironia -almeno alcuni che abbiamo conosciuto-, sono tutti lavoratori regolari, ma non tutti lavorano, non chiedono l’elemosina, praticano il mutuo aiuto tra di loro (chi lavora fa la spesa anche per gli altri), preferiscono non farsi fotografare ma chiedono di essere ascoltati dalla gente che abita a pochi km da lì. Nessuno di loro, stando a quanto ci hanno riferito i volontari della Caritas, ha partecipato alla Mostra dei braccianti: hanno paura, semplicemente. Saluzzo, a detta di molti, offre l’accoglienza migliore che nel resto d’Italia ai braccianti stagionali. I termini di paragone sono Nardò e le piane pugliesi, quelle lucane e calabresi, il ragusano e il casertano, dove il conflitto sociale ha ormai raggiunto l’apice. Secondo il Coordinamento bracciantile saluzzese, in realtà anche in provincia di Cuneo si sta andando in questa direzione: le paghe sono inferiori al minimo sindacale, le giornate lavorate non sono tutte segnate e quindi pagate né i contributi versati, la disoccupazione non viene riconosciuta e il lavoro nero dilaga.
I produttori affermano che non si possono fare previsioni sul raccolto, né quindi sulla manodopera stagionale necessaria. Quest’anno Comune di Saluzzo e Coldiretti, con un volantino indirizzato ai lavoratori africani, hanno richiesto una manodopera di soli 250 braccianti, a fronte delle migliaia che vengono chiamate a lavorare da anni. Alla faccia del libero mercato, insomma! Non è dato conoscere dati sul fabbisogno reale di manodopera nel cuneese, eppure i dati sarebbero importanti per fare previsioni a lungo termine anche sulle reali necessità di lavoratori.
In uno dei poli agricoli più vasti d’Italia, dove è praticata la più alta evasione contributiva, da un lato ci sono lavoratori facilmente ricattabili, che contrattano individualmente la propria posizione lavorativa, dall’altro un mercato in cui la frutta che si raccoglie viene spesso pagata al produttore a prezzi vergognosi. Gli agricoltori chiedono di ridiscutere i termini della filiera di distribuzione dei prodotti, i braccianti chiedono di parteciparvi come parte attiva.
Si aprono dormitori, spesso lontani dai luoghi di lavoro, e si permette che questi stessi lavoratori tutti i santi giorni all’alba inforchino la bici per raggiungere l’azienda e ritornino al buio nella loro tenda con mezzi di fortuna, senza casco né luci. Alcune aziende stanno riprendendo ad ospitarne qualcuno, mentre altri vivono nei campus aperti dalla Coldiretti. Ma non si contratta il salario. Può bastare per un problema ormai strutturale?
La Caritas si prepara ad allargare il suo Progetto Presidio, con la realizzazione di altri campi solidali in altri luoghi d’Italia, in quel sud devastato dalla piaga del lavoro nero dei braccianti stagionali.
In fin dei conti, è giusto che sia la Caritas a tappare i buchi di piaghe sociali dai risvolti fortemente politici assumendo il ruolo delle istituzioni?