13-16 agosto: Trecchina-Montemurro e un po’ di Oppido Lucano

{:it}

Maratea dal Passo della Colla
Maratea dal Passo della Colla

Trecchina è stata la nostra isola di riposo, lo spartiacque tra il viaggio di andata e quello di ritorno. In mezzo al verde, a pochi chilometri dal mare, con un piede in Campania e l’altro in Calabria, si divide tra le due terre anche nel dialetto, salvo poi scoprire che è un’isola linguistica di origine gallo-italica.

E l’alloglossia linguistica della metà lucana della coppia si trasforma per noi in nomadismo. Perciò, lasciamo Trecchina la mattina del 13 agosto, nel bel mezzo della festa medievale, e cominciamo a pedalare verso la Val d’Agri. Entro sera bisogna arrivare a Montemurro, dove siamo stati invitati al Festival Tarantellarte.

Lauria, ingresso in galleria su ciclabile
Lauria, ingresso in galleria su ciclabile

La strada è lunga e per niente regolare, ci aspettano 70 km: fino alla Valle del Noce viaggiamo in discesa, superato il fiume comincia la salita che attraversa Lauria Superiore, intorno una campagna densamente popolata. Dopo il centro abitato, nei pressi del cimitero del paese, una bella sorpresa: per circa 3 km pedaliamo su una ciclabile in falsopiano ricavata da un tratto ormai dismesso delle ferrovie Calabro-lucane, che collega Lauria con la contrada Pecorone. E così raggiungiamo oltre 700 m di altitudine in una giornata molto calda, fino a sfiorare gli 850 del Cavallo, il punto più alto del paese, oltre il quale ci immettiamo sulla Statale 653 della Valle del Sinni, meglio conosciuta come Sinnica, fino al bivio per Cogliandrino. Siamo ancora nell’estesa campagna del comune di Lauria. Salite e discese si alternano, come boschi e centro abitato, sfioriamo la diga di Cogliandrino ed attraversiamo la valle del Sinni per entrare nella Val d’Agri, in direzione Nord-ovest. Da qui le salite non ci risparmiano la fatica, siamo circondati dai monti e da una vegetazione che tende al giallastro e fino alla Tempa del Conte, che supera i 1000 m, siamo quasi soli con la natura. Qui finalmente sostiamo nell’unico Sali e tabacchi, che fa anche da bar, della zona e la proprietaria ci accoglie con gentilezza e ci disseta. Sembra un po’ il Far West  e cominciamo a chiederci quando ritorneremo nell’abitato.

Il punto più alto del viaggio
Il punto più alto del viaggio
Il fiume Agri nell'invaso del Pertusillo
Il fiume Agri nell’invaso del Pertusillo

Ancora qualche pedalata e il monte ci regala una lunga discesa fino a Grumento Nova, che però sfioriamo solo e con grande dispiacere, visto che nelle vicinanze sorge un’area archeologica di origine romana, che racconta tra le rovine la storia antica di una città, Grumentum, nodo di comunicazione strategico tra la via Herculea e la via Popilia. Siamo ormai nei pressi della diga del Pertusillo, che si palesa dal ponte della Statale su cui pedaliamo. La più grande diga d’Europa in terra battuta, è un immenso lago attraversato dal fiume Agri che con le sue acque disseta la Puglia. Ma avremo modo di parlarne.

Dopo aver costeggiato il lago artificiale eccoci a Montemurro, dove ci viene incontro il nostro amico Sergio Santalucia. Baffi, capelli in disordine, ha proprio l’aria di un brigante musicante, come lui

Sergio Culopizzuto :-)
Sergio Culopizzuto 🙂

stesso si definisce alla stregua dello storico brigante del luogo Culopizzuto, da cui ha preso in prestito il nome. Fin da giovane appassionato della storia musicale della sua terra, trasmessagli da suo padre Vittorio, Sergio è l’organizzatore di Tarantellarte, un festival dedicato alla tarantella lucana, dove però non mancano le commistioni con altre culture musicali, da quella salentina all’area del Pollino, da quella piemontese a quella napoletana a quella dei paesi limitrofi.

Ho cominciato tardi a dedicarmi alla musica -ci racconta Sergio a casa sua-, avevo 25 anni quando ho comprato il mio primo organetto a Milano, prima c’era stata solo la chitarra. Non c’era nessuno che mi accompagnasse, ecco perché ho imparato a suonare tanti strumenti, trascurando di impararne uno per bene! Questo però mi ha permesso di poter trasmettere l’educazione allo strumento alle generazioni più giovani, a partire dalle mie figlie.

La bisnonna di Sergio suonava il mandolino, ma solo in privato perché non era consentito esibirsi in pubblico per una donna, il papà ha continuato la tradizione, e così lui, che suona anche la zampogna e mille altri strumenti. Ha messo su una scuola di musica per ragazzi e si spende molto per trasmettere loro l’identità più pura della sua terra. E così ci racconta dell’antica tradizione dell’arpa

Il suono dell’arpa è concentrato in Val d’Agri, tra Viggiano e Grumento, grazie ad una scuola musicale nata nel ‘600. Fin dal ‘700 paesi come Viggiano, Corleto, Armento, Spinoso, Santarcangelo hanno avuto una storia musicale che non ha nulla a che fare con il resto della Basilicata. E l’arpa era accompagnata anche da violino e mandolino.
L’ultimo suonatore vivente è Ciccio Milano, di Moliterno. Montemurro ne vanta due, che ai primi del ‘900 si inserivano anche nei gruppi bandistici, ed erano tutti suonatori autodidatti; ma la tradizione è andata perdendosi, fino agli anni ’70.

Le origini di questa tradizione musicale? Forse greche, dato che i paesi interessati hanno tutti origini greche.
E il compito di persone come Sergio, che sono molto rare in questi territori, è proprio quello di ritrovare la cultura del luogo e passarla ai giovani.

Sono certo che qualcosa di ciò che sto insegnando rimarrà, ma è diventato sempre più difficile il mestiere di trasmettere la nostra cultura -spiega Sergio-, da quando i giovani vanno via da questi posti dove non trovano lavoro.

E dimenticano, si disaffezionano.
Eppure in Val d’Agri c’è il più grande giacimento petrolifero d’Europa su terraferma.
A vederla sembra un’area incontaminata, agreste, gli abitanti vivono ancora un rapporto diretto con la terra, tutti hanno l’orto, i giovani, quelli che rimangono, invece sembrano essersi adagiati sulle condizioni di povertà dei loro paesi; quelli che vanno via si salvano, per così dire, dall’inerzia, ma vivono un rapporto alienato con le loro radici, i pochi che rimangono sperano, forse, nell’illusione di una ricchezza petrolifera, che con l’insediamento di multinazionali ha bloccato l’iniziativa giovanile.
E la terra, così, non è più quella di una volta: i redditi sono bassi, però la gente dice che qui si vive con poco, ma è costretta a comprare

Parco eolico a Montemurro
Parco eolico a Montemurro

l’acqua in bottiglia in una terra ricca di sorgenti; l’incidenza dei tumori è aumentata e i giovani sono sempre più pochi; le pale eoliche hanno invaso i terreni agricoli senza un apporto reale di reddito per la popolazione e il già alto rischio sismico è accresciuto dalle trivellazioni di pozzi per la ricerca del petrolio. Senza considerare il rischio per l’ambiente provocato dai pozzi di reiniezione degli scarti della lavorazione di gas e petrolio.
Per queste ed altre ragioni è nato il Coordinamento No Triv, che unisce molti piccoli comitati di territorio che si estendono dal Beneventano alla Puglia e che lottano per la difesa della propria terra. Nel mese scorso hanno portato avanti una singolare iniziativa, il No Triv Bike Tour, attraversando in bici i territori interessati dalle trivellazioni e che è ben sintetizzato in questo video. Per dire che la ricchezza, nell’Appennino meridionale, non è basata sul petrolio ma sulla terra, sulla biodiversità, sui parchi naturali, sull’acqua.

Sulle rive del Pertusillo
Sulle rive del Pertusillo

Partecipiamo a Tarantellarte immersi nel paesaggio della diga del Pertusillo, nella Masseria Crisci, che sorge sulle rive del lago, il secondo invaso artificiale più grande della regione. E abbiamo una guida d’eccezione a Montemurro, Maurizio, che ci ospita nella sua casa di campagna e ci racconta che lavora al Centro Oli di Viggiano per vivere, ma nel tempo libero si dedica anima e corpo al suo orto. E mentre guardiamo l’immenso lago ascoltiamo il racconto di chi questa terra la vive tutti i giorni nella sua doppia faccia, agreste e industriale. Resistenza, opinione pubblica, consapevolezza sono echi che, grazie a recenti iniziative, si riavvicinano anche a queste terre.
Ma c’è da chiedersi: quanto è già stato distrutto il paesaggio? Che cosa si può ancora fare? I grandi colossi multinazionali si sono insediati ormai da anni e con il consenso della politica. E la ricchezza è ancora da venire.

Per approfondire indichiamo di seguito alcuni articoli che informano sull’inquinamento all’epoca dei fatti:

http://www.olambientalista.it/?p=10393
http://www.pietrodommarco.it/diga-del-pertusillo/

E ancora, un articolo più recente, in cui ancora si discute su quello che viene definito il “possibile inquinamento” dell’invaso.
Come si è arrivati a questo punto? Qui una sintesi della storia delle estrazioni di idrocarburi in Val d’Agri.
Tra le conseguenze sociali attribuite alle estrazioni si cita anche la perdita delle tradizioni, del sapere popolare… Ecco, crediamo che Tarantellarte, soprattutto nella figura di Sergio Santalucia, sia uno strumento per rimanere ancorati a quella tradizioni e a quella gente che sta scomparendo, sulle rive di un lago artificiale come il Pertusillo, da anni martoriato dall’inquinamento, ma che continua ancora a servire “le sue acque migliori” alla Puglia!

Tarantellarte
Tarantellarte

La Basilicata ha tanti volti, uguali e diversi come il suo paesaggio.
Facciamo un salto in avanti nel tempo, ma per parlare sempre di terra lucana.
Ormai a Torino, a qualche mese dalla fine del nostro tour, partecipiamo al Salone del Gusto, un immenso contenitore di enogastronomia culturale sostenibile, e proprio qui incrociamo un lucano, stavolta però di Oppido Lucano!
Pasquale è venuto a raccontare la sua esperienza in agricoltura. Personal trainer a Roma, tre anni fa ha intrapreso una nuova strada: insieme a due amici ha fondato una società, Canapa Lucana, supportata dall’attività di un’associazione. Tutto questo ad Oppido, terra di emigrazione, terra da cui Felicia Muscio alla fine dell’800, come tante, partì con la figlia per raggiungere il marito ad Iquique, in Perù, attraversando prima il mare e poi le Ande. Donne d’un tempo, coraggiose e disperate, come quelle di oggi che sfidano la morte per terra e per mare, spesso con i figli attaccati al seno.

Quella a cui si è dedicato Pasquale è un agricoltura innovativa:

Abbiamo terreni per oltre 43 ettari, che appartengono a diversi proprietari, su cui coltiviamo la canapa. Come società compriamo le sementi, che vengono in gran parte dalla Francia, e cerchiamo di incrementare il mercato della canapa per garantire un maggiore coinvolgimento degli agricoltori. Siamo partiti con 4 ettari e stiamo crescendo ancora.

Ma perché la canapa, e ad Oppido?

A Roma sono cominciate una serie di riflessioni sull’economia attuale, la realtà non ci piaceva e da qui è nata l’idea di fare agricoltura provando a dare un apporto diverso al nostro territorio. La canapa è una pianta rivoluzionaria, potrebbe aiutare a risolvere problemi in tanti settori, e forse anche per questo è stata boicottata in passato.
E in qualche modo Oppido è legato alla canapa: abbiamo scoperto, parlando con vecchi agricoltori, che c’è un luogo, oggi a servizio della coltura, che un tempo era chiamato il canapaio. Per ora abbiamo un ufficio-magazzino per lo stoccaggio di prodotti e a breve avvieremo un centro di prima trasformazione di farina e olio.

La scelta di dedicarsi alla filiera alimentare -ci spiega Pasquale- è legata agli alti costi dei macchinari per fibra, comunque già in sviluppo sul mercato.

 A Taranto poi c’è già un centro di trasformazione della fibra, con il quale collaboriamo. Per le sementi abbiamo bisogno di uno spremitore a freddo. Il progetto che vogliamo realizzare, con l’aiuto di fondi regionali, costa intorno ai 350 mila euro e garantirebbe dalla spremitura all’imballaggio del prodotto. Siamo associati con Assocanapa e stiamo lavorando anche con l’università per garantire una migliore coltivazione della pianta, perché vogliamo lavorare su un prodotto biologico, anche se non certificato.
Finora il guadagno della società è stato reinvestito, ma speriamo a breve di rientrare nelle spese e poter ricavarne gli stipendi.

Quello della canapa è un mercato di nicchia, che ha costi ancora alti, perciò la vendita dei prodotti di Canapa Lucana è in gran parte fuori dalla Basilicata, una terra in cui è difficile catturare i gusti della gente con sapori lontani dalla tradizione locale. Ma nonostante ciò il consumo di prodotti dalla canapa sta aumentando.

Non neghiamo che operiamo in un settore complesso, in cui la meccanizzazione è anche costosa, ma siamo riusciti a creare lavoro per noi, incrementato la trasformazione e speriamo anche lavoro per gli agricoltori.
Se un’idea è valida si trova sempre il modo di svilupparla!

Come immaginare uno sviluppo per il proprio territorio? Ecco, così, partendo da se stessi.


 

 

 


Stampa la mappa e scarica la traccia GPS.

Route 3.062.054 – powered by www.bikemap.net

 {:}

Leave a Reply

Siamo uomini o bot? *