26 giugno: Pieve S. Stefano, l’Italia attraverso i diari

Oggi una condizione insolita per #2RR, quasi un privilegio: avere una base, un rifugio dove lasciare le borse, e dove poter tornare una volta concluso l’incontro in programma! Dell’amica straordinaria che ci dà questi privilegi da gagè vi abbiamo già raccontato nell’articolo precedente, intanto eccovi l’immagine radiosa della cicloviaggiatrice in modalità “gita in campagna”! Che sollievo, se oggi ci gridassero “andate a lavorare!” potremmo quasi (quasi!) dargli ragione.

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Dal Casentino che ci ospita siamo diretti in Val Tiberina, verso quello che è quasi il crocevia tra tre regioni, Toscana, Romagna e Umbria. Per la prima volta nel nostro viaggio decidiamo di prendere l’autobus e di lasciare le bici ad Arezzo: la pioggia ci insegue e il viaggio di andata e ritorno sarebbe davvero un’impresa da fare in bicicletta in un giorno solo.

Pieve Santo Stefano è a poco più di 400 m sul mare, ma per arrivarci bisogna superare monti che arrivano anche a 8-900 metri. L’impatto visivo con il paese è sconcertante, specie dopo essere passati per la bomboniera di tufo di Anghiari e per il centro di Sansepolcro: il centro storico di Pieve è infatti… ben poco storico. Case risalenti agli anni ‘60 o poco prima. Segni invisibili e laceranti delle devastazioni dell’ultima guerra. Se vuoi cancellare la storia di un luogo cancellane la geografia. Come succede in Palestina (o in Val Clarea…).

Pieve è la sede della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale e relativo museo.

Come sapete siamo partiti avendo in mente Nuto Revelli, le testimonianze orali del popolo raccolte però da un occhio esterno al mondo contadino. Saverio Tutino, invece, ebbe nel 1984 l’idea di raccogliere in un archivio pubblico le testimonianze di memorie private scritte in prima persona, un’idea che incontrò un forte scetticismo tra gli storici e intellettuali dell’epoca.

L’archivio, divenuto Fondazione nel 1991, non è solo un museo. Natalia Cangi infatti ci racconta la grande scommessa che mosse Tutino, quella di trovare un luogo per dare una casa alla memoria di scritti spontanei di persone comuni. Suo scopo non era dunque indurre alla scrittura ma far sì che la scrittura arrivasse spontaneamente all’archivio. E per fare ciò ha utilizzato il Premio Pieve, catalizzatore di raccolta dei diari, che oggi sono circa 7000.

Oggi l’Archivio, in occasione del centenario della Grande Guerra, sta lavorando ad un importante progetto, in collaborazione con il gruppo L’Espresso, che renderà accessibili oltre 1000 testimonianze di soldati e civili che hanno combattuto e vissuto durante la guerra: storie intense dove il tradimento spesso si mescola all’amore senza perdere l’autenticità della scrittura. Storie dalle quali emerge, più che il racconto di se stessi, una visione collettiva del mondo, quasi un’autobiografia della nazione attraverso le testimonianze individuali.

Vincenzo Rabito, cantoniere ragusano, classe 1899, semianalfabeta, scrive di nascosto il suo diario su una

Terra matta di Vincenzo Rabito, edito da Einaudi

Olivetti Lettera 22 ricevuta dal figlio. E diventa inconsapevole autore di un’opera letteraria degna di studio. Scrive un vivido spaccato dell’Italia del Novecento, piena di contraddizioni mai sanate, nei cui racconti egli non si pone mai come protagonista. E soprattutto inventa un nuovo linguaggio, un’oralità mista al dialetto: 1027 “pacene”, come lui le definisce, giunte all’Archivio grazie al figlio Giovanni, ormai dopo la sua morte, a conferma del fatto che Vincenzo non ha mai scritto con lo scopo di essere letto. Il diario vince il Premio Pieve 2000 ed è pubblicato da Einaudi nel 2007 con il titolo Terra matta. Abbiamo il privilegio di sfogliare le pagine originali del diario, fitte di parole dentro decine di rubriche ad anelli impaginate al contrario, ricche di una punteggiatura dalla logica misteriosa: uno scritto che è l’apoteosi dell’oralità!

Non sono i fogli l’unico strumento di scrittura che vediamo all’Archivio!

I documenti più antichi e preziosi sono conservati nell’attiguo Piccolo Museo del Diarioche si presenta come una grande cassettiera illuminata. Aprendone uno appare la slide di un foglio protocollo e la voce indignata di tale “Re Luigi, torinese”, che accusa il governo di corruzione. Sembra di ascoltare uno dei tanti talk show odierni, salvo che le parole sono del 1899 e che il Premier sotto accusa è… Crispi!

Il lenzuolo di Clelia
Il lenzuolo di Clelia

Nel Museo convivono scrittura tradizionale e multimediale. Un’intera sala del museo è dedicata a lei, Clelia Marchi, che ha scritto tutta la sua vita e quella della sua gente su un lenzuolo del suo corredo. Solo la verità, “gnanca na busia“, afferma nell’incipit dedicato ai lettori. Una voglia di comunicare che va oltre la mancanza di carta e si esprime su quelle lenzuola che non avrebbe più usato con l’amato marito ormai defunto. È impressionante vedere il lenzuolo srotolato e appeso, quasi a mò di lapide pre mortem, con righe fitte fitte e numerate che raccontano la storia di una contadina, giunta all’Archivio con il lenzuolo sotto il braccio per consegnarvi personalmente le sue memorie già nel 1986, divenute poi un libro edito da Mondadori. Una donna che indossa la scrittura per portare in luce e trasmettere un’oralità contadina altrimenti sconosciuta. L’integrità del prezioso lenzuolo è ora garantita da un enorme touch screen che permette di scorrere l’intero testo con tutti i pregi dell’ipertestualità: finalmente un’installazione degna della National Library di Londra!

Oggi al diario cartaceo si è affiancata la scrittura online, dai blog a Facebook. Una scrittura-selfie che l’Archivio non respinge ma che, rileva Natalia Cangi, è più individualista, meno disposta a relazionarsi con il mondo e alla ricerca spasmodica di un riconoscimento.

Riordinando gli appunti sui sedili del bus ci ritroviamo a riflettere: a differenza dell’Archivio, a cui gli scritti arrivano più o meno spontaneamente, noi stiamo andando alla ricerca di storie che compongono la Storia attuale dell’Italia, le due ruote ci conducono presso realtà quasi completamente sconosciute se non agli “addetti ai lavori”.

Come l’Archivio, dunque, cerchiamo di mettere in luce quell’Italia invisibile che ha qualcosa da dire, e forse anche da insegnare, alla collettività, una composizione di storie che chiedono disperatamente di essere comprese affinché si possano condividere: #2RR è solo un mediatore tra le parti, che favorisce, quando possibile, lo scambio di riflessioni ed esperienze.

Se la scrittura di oggi è priva di una visione globale del mondo, abbiamo comunque ritrovato questi sentimenti nell’atteggiamento delle persone che incontriamo lungo il percorso; nonostante le quotidiane avversità, essi sanno di non essere soli e hanno ripreso l’abitudine di condividere, anche oralmente, conoscenze e dubbi. Come dire, il km 0 vale anche per il know how!

P.S. Potete tranquillamente andare a piedi o in bici all’Archivio e comprare i libri che volete, usufruendo del servizio gratuito di spedizione postale. Ordinate, pagate e vi arriva tutto a casa!

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