Io in guerra sparavo al cielo!

Le storie dei vinti di Nuto Revelli si dipanano, dalla montagna alla pianura, lungo un filo teso ora verso la vita ora verso la morte. La vita dei suoi contadini è intrisa di morte, quella che si portavano dietro dalla ritirata di Russia. «Ricorda, – mi dicevo, – ricorda tutto di questo immenso massacro contadino, non devi dimenticare niente».


Il mondo dei vinti è la sua volontà di restituire al tempo la memoria di quegli uomini mandati a morire in quella “lunga marcia verso la follia”. Quegli uomini, di cui lui era ufficiale, erano i contadini della sua terra, il cuneese, che più che la voglia di combattere “sognavano soltanto le licenze agricole”. E li racconta, con uno storytelling ante-litteram, soffermandosi nei luoghi in cui erano nati, che stavano inesorabilmente cambiando per lasciare il posto all’industrializzazione.

Da piccola mi piaceva (io, Nica) molto accompagnare mia madre al cimitero: mentre si addobbavano le lapidi con i fiori appena portati, si camminava tra le tombe e si incontrava ora uno ora l’altro, vite di un tempo che non avevo conosciuto, ma che paradossalmente vivevo in un cimitero attraverso le voci e i ricordi di chi, come me, come noi, si soffermava a raccontare. E così ho imparato che il cimitero non è il luogo del silenzio assoluto: le fotografie, le architetture tombali, i fiori parlano in silenzio. E non è il luogo delle lacrime: perché nei cimiteri, quando si racconta, si racconta la vita.
E allora i cimiteri, come le storie dei vinti di Revelli, sono lì proprio a raccontare, fissare nella memoria dei vivi una vita, un insieme di vite, che non appartiene più al presente. Ma rimane sempre viva finché qualcuno la racconta.
E i cimiteri sono i luoghi deputati a narrare queste vite.
Ecco perché 2 Ruote di Resistenza, insieme alle compagnie teatrali Atti O Scene in Luogo Pubblico e Livres como o vento, ha partecipato al Programma Appuntamenti con il ricordo con un reading tratto da Il mondo dei vinti.
Nove sono stati i progetti musicali e teatrali giunti alle porte del comune di Torino, che per la ricorrenza dei morti ha aperto, in collaborazione con AFC Torino Spa, i cancelli dei cimiteri della città a rappresentazioni artistiche lungo i viali.
Non è la prima volta che i cimiteri vengono messi a disposizione dell’arte: già con MI.TO-Settembre Musica e con alcuni eventi organizzati dal Salone del Libro di Torino erano diventati luoghi dove la vita e la morte si incontrano, all’interno di processi artistici che fanno da mediazione e meditazione.
Domenica 29 ottobre, per tutto il giorno il nostro gruppo di teatro è stato ospite al Cimitero Parco, nella zona sud della città. Inaugurato nel 1972, è il secondo cimitero più grande di Torino (dopo il Monumentale), è un piccolo villaggio, dove il silenzio è interrotto da collinette che scaldano l’ambiente fatto di costruzioni minimaliste, modernissime e un tantino fredde. È proprio un villaggio, sì, dove ci sono anche i quartieri evangelico e musulmano, a voler ricalcare la mescolanza culturale della città.

Si parla di morte perché c’è la vita. Le vite dei contadini raccontate da Nuto Revelli sono immerse nell’esperienza della guerra, dalla prima alla seconda, vite intrise di morte, descritta, vissuta da vicino, a volte a casa a volte sul fronte: «la guerra è la grande esperienza, è la ferita mal cicatrizzata che riprende a sanguinare non appena la tocchi», scrive Revelli nell’introduzione alla sua opera. C’era chi tra loro preferiva lasciarsi morire a casa piuttosto che partire per la guerra, chi diceva “Io in guerra sparavo al cielo!”, un grido di rifiuto di uccidere l’altro fratello in battaglia, come recita il titolo di una delle storie che abbiamo scelto di leggere. L’altra storia, “Alpini indossate la maglia d’acciaio”, è un omaggio agli alpini, quelli mandati a morire in Russia, che fino all’ultimo si sono aggrappati alla vita.

E nei ricordi della morte si insinua il racconto della vita.
Tanta gente ha calpestato i viali del cimitero Parco domenica scorsa e, per quanto di passaggio, alcuni si sono fermati ad ascoltare il nostro reading, hanno partecipato e condiviso le nostre riflessioni.
A dirla tutta, erano gli unici a stare in silenzio, in ascolto di parole che avevano certo il senso di rendere collettiva la meditazione intorno alla morte. Intorno, il solito chiacchiericcio da cimitero.
Ecco perché, senza l’intenzione di polemizzare, #2RR non è molto d’accordo sulle parole espresse dall’arcivescovo Nosiglia durante la sua omelia del giorno dei Santi.
Le liturgie, in fondo, cosa sono se non un grande palcoscenico perennemente allestito in equilibrio tra la vita e la morte?

È importante, anche nei cimiteri, ritornare a riflettere collettivamente intorno alla morte. E alla vita.

Ah. Dimenticavamo di dirvi che il reading cimiteriale è stato solo il primo passo verso la costruzione di uno spettacolo molto più ampio, che vedrà in scena diverse storie tratte da Il mondo dei vinti, rilette e interpretate grazie anche al supporto di materiale inedito concessoci dalla Fondazione Nuto Revelli, che ringraziamo.

(Foto di Manilla C.)

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